Ars memorandi

Giordano Bruno e l'arte della memoria

venerdì 28 febbraio 2014

Diana e Atteone


Il grande cacciator divenne preda



Questo blog nasce dal bisogno di condividere l'interesse per la figura e l'opera di Giordano Bruno nolano. In questo nostro tempo – insieme di crisi e di straordinarie aperture – la nova filosofia di Bruno suscita interesse e attrae quanti intravedono in essa un nucleo straordinario di vitalità, una capacità di sintesi e di visione illuminanti, un'ispirazione autenticamente religiosa, dove religio è ciò che lega (lat. re-ligare) l'uomo agli altri uomini e al cosmo infinito vivente.
Il filosofo che ha inteso spezzare le catene del geocentrismo, che ha combattuto ogni forma di autoritarismo, che ha deriso i pedanti rappresentando la filosofia in forma di commedia e risata ci insegna a vedere come illusoria ogni separatezza, ogni contrapposizione nata dalla convinzione di possedere – una volta per tutte e in modo indubitabile - la verità.
A. Alciato, Emblematum Liber
Per Bruno, il valore di un uomo non sta nel possesso o nella capacità di imporre la verità; il valore di un uomo sta nella costante aspirazione alla verità: in quel forte spirare, in quell'eroico furore che è ardore e passione della verità e della luce divina. Il paludato professore, che vive in un mondo descritto una volta per tutte da Aristotele, il religioso settario, che - in nome e per conto di Dio - combatte i suoi simili, vivono nella cecità e perciò non raggiungono la condizione e la dignità di uomini (come vedremo, queste devono essere conquistate!).
Il vero filosofo è un cacciatore: si spinge nei recessi più oscuri e umbratili della foresta, in traccia della sua preda. Inseguimento, milizia, bisogno costante di cacciare oltrepassando sé stessi. Necessario, in primo luogo, liberarsi dal sonno, dall'incantamento di Circe che imprigiona la grande parte dell'umanità. L'uomo crede di essere desto, crede di avere occhi per vedere, ma la sua anima è in stato di oblio.  

Rivolgiamo ora l'attenzione al mito del cacciatore Atteone. Nel dialogo intitolato De gli eroici furori, Giordano Bruno richiama e reinterpreta questo mito attribuendogli una grande centralità e pregnanza di significato. La figura di Atteone diviene così un simbolo o “ieroglifico” che condensa in sé una fitta trama di significati, una visione o immagine mentale che custodisce l'essenza più profonda di un concetto e di un'esperienza.

Parmigianino, Atteone, Ciclo di Fontanellato
Anticipando ciò che studieremo in relazione all'arte della memoria, diciamo per inciso che la capacità di creare immagini mentali impressionanti, connesse a forti sentimenti, capaci di rapire e infiammare l'attenzione è il presupposto stesso della strabiliante arte mnemonica che Bruno padroneggiava, suscitando sospetto, stupore, ammirazione, smarrimento nei suoi interlocutori. In virtù di tale facoltà immaginativa, ciò che si dice a parole è soltanto un tentativo di raccontare - in modo approssimativo e per frammenti – ciò che tale visione racchiude in unità. 

Ma se è vero che l'arte della scrittura interiore non può essere descritta, ma soltanto appresa nella pratica, cerchiamo ora di svolgere la nostra parte di artefici, dando forma nella nostra mente alla figura di Atteone. 

Tiziano, Diana e Att., Edimburgo, National Gallery
L'eroe tebano Atteone, nipote di Cadmo, addestrato all'uso delle armi dal centauro Chirone, si trovò a vagare durante una battuta di caccia per un bosco che non conosceva. Il destino lo condusse nella grotta dove la dea Diana, stanca di cacciare, faceva il bagno assieme alle ninfe sue compagne. La vergine, che orgogliosamente e sdegnosamente si sottraeva a ogni sguardo, fu contemplata nella sua nudità da Atteone. Egli posò il suo sguardo sul corpo di Diana – la dea della caccia, la dea lunare, la Natura stessa nella sua indicibile bellezza. Arrossendo e adirandosi in volto per l'oltraggio subito, Diana gli spruzzò dell'acqua in viso, trasformandolo in cervo e impedendogli di riferire ciò che aveva visto. Scappando, Atteone giunse ad una fonte dove, specchiatosi nell’acqua, si accorse del suo nuovo aspetto. Ma i suoi stessi cani ora lo inseguivano. Fu così che - come dice Bruno - il "gran cacciator dovenne caccia".
Il valentissimo cacciatore Atteone fu preda dei suoi cani, che, aizzati dagli amici e compagni di caccia, lo sbranarono. Pur consapevole di quanto stava accadendo, Atteone non fu in grado di proferire parola umana e di farsi riconoscere.

Fra le varie versioni del mito trasmesse dalla tradizione, Bruno sembra riferirsi con ogni probabilità alle Metamorfosi di Ovidio, cui rinviamo. 

 
Atteone (part.), Fontana di Diana e Atteone, Reggia di Caserta


Ciò che a noi interessa evidenziare è la torsione e la trasposizione di significato che il mito della caccia subisce negli Eroici Furori (cfr. Parte prima, Quarto dialogo), opera che Bruno pubblicò a Londra nel 1585.

La venagione, la caccia, rappresenta quello stato di continua ricerca e di inappagata tensione cui si consacra l'uomo che – risvegliato a nuova vita dall'amore ardente per il Sole intelligibile – si pone in traccia della divina bellezza, verità e sapienza. Questa è la condizione dell'«eroico furioso»: essere trasfigurato da una divina mania, da un amore inestinguibile per la luce divina, per quella abbagliante bellezza che si riflette nella Natura, nella nudità di Diana.

Tale tensione comporta un processo di interiore trasformazione, esplicitamente descritto nel Quarto Dialogo. Atteone - colui che rappresenta in figura «l'intelletto intento alla caccia della divina sapienza» - si avventura nei luoghi più inaccessibili delle selve, dove pochi osano arrivare. Egli è preceduto dai propri cani («i mastini e i veltri slaccia Il giovan Atteon»); i veltri stanno per le facoltà intellettuali e i più forti mastini per la volontà.

E improvvisamente Atteone scorge un riflesso nell'acqua: è quanto di più bello mente umana o divina possa contemplare. È la nudità di Diana, l'ombra che la sublime divina luce (l'universale Apollo) proietta nella materia e nel mondo delle cose visibili. Diana-Luna riflette la luce universale, una luce acciecante che l'uomo può contemplare solo nei riflessi, nelle ombre, per speculum et in aenigmate.

Così Bruno:

Vedde il gran cacciator; comprese, quanto è possibile e dovenne caccia; andava per predare e rimase preda questo cacciator [...].



Questa visione comporta anche la morte iniziatica di Atteone. Egli muore a sé stesso, alla vita ordinaria, ad ogni sapere illusorio che spinge a cercare la divinità in luoghi impervie e irraggiungibili. Atteone, rapito fuor di sé dall'estatica visione della Diana tutta nuda, si scopre simile a ciò che più ardentemente brama. Amare e comprendere significa convertirsi nell'oggetto amato. Atteone muore scoprendo che i riflessi di divinità, bellezza verità che egli cercava all'esterno e nei luoghi più occulti, devono essere ricercati nello specchio della propria interiorità. Il cacciatore si fa preda; la muta di mastini e veltri si lancia ora contro il cacciatore.

Ogni autentico amore provoca una trasmutazione nell'anima dell'amante. Così si esprime bruno:

Cossí Atteone con que' pensieri, quei cani che cercavano estra di sé il bene, la sapienza, la beltade, la fiera boscareccia, ed in quel modo che giunse alla presenza di quella, rapito fuor di sé da tanta bellezza, dovenne preda, veddesi convertito in quel che cercava; e s'accorse che de gli suoi cani, de gli suoi pensieri egli medesimo venea ad essere la bramata preda, perché già avendola contratta in sé, non era necessario di cercare fuor di sé la divinità.
 
E ancora :

Però ben si dice il regno de Dio esser in noi, e la divinitade abitar in noi per forza del riformato intelletto e voluntade.


Diana (part.), Reggia di Caserta


L'occhio estatico di Atteone può ora scorgere nuovi sentieri, in un percorso che lo condurrà con ritrovato slancio verso la contemplazione, verso l'Uno che è in tutto e tutto lega per vincolo d'amore. Qui il cacciatore è messo a morte dai suoi cani e «da quel ch'era un uom volgare e commune, dovien raro ed eroico, ha costumi e concetti rari, e fa estraordinaria vita. […] qua finisce la sua vita secondo il mondo pazzo, sensuale, cieco e fantastico, e comincia a vivere intellettualmente; vive vita de dei, pascesi d'ambrosia e inebriasi di nettare.»

Tale esperienza di realizzazione piena della nostra umanità è resa possibile dal venir meno dell'atteggiamento irreligioso di separazione che contrappone l'individuo a ciò che è fuori e altro da sé (provvisto di occhi per vedere, padrone di sé, non più estraneo all'altro, il furioso eroico ha pensieri soltanto per le cose divine e vede soltanto la divina armonia insita in ogni cosa).

Ricordiamo, infine, che il percorso del furioso [furor, in latino, significa: rabbia, pazzia, rivolta, impeto, desiderio, passione amorosa, delirio, divina ispirazione, entusiasmo, furore profetico, spirito ardente] non è caratterizzato dal venir meno delle contrarietà, delle difficoltà, dei dubbi, dei pericoli di consumarsi come una farfalla attratta dalla fiamma della candela. La ricerca avviene infatti sotto l'insegna di Amore, che è per sua natura ambiguo, povero e insieme ricco di espedienti. Tale condizione esistenziale rassomiglia al martirio, è una piaga che mai si rimargina, poiché l'inestinguibile desiderio di congiungersi al divino mai consegue il suo fine. Ma questo slancio, questa tensione, questa veemente aspirazione rendono degna, eroica e nobile la vita; sicché il furioso – che i più giudicano infelice – ringrazia Amore per i tormenti subiti.

Il Furore è un impeto razionale, un amore che supera ogni ostacolo, in tutto simile all'amore della Sulamita del Cantico di Salomone. Tale entusiasmo non porta all'oblio di sé, come invece avviene nella profezia e nell'invasamento poetico. Questa ricerca è realizzazione della propria individuale natura e, insieme, desiderio di elevarsi rendendosi degno della cosa amata.

Il biblico Cantico di Salomone – scrive Bruno – è la fonte degli Eroici Furori e l'argomento è il medesimo. La stessa ardente passione amorosa è espressa nel Cantico attraverso la figura della Sulamita che ricerca il suo amato. Osculetur me osculo oris sui (Oh se Lui mi baciasse con i baci della sua Bocca).




Testi consigliati:
G. Bruno, Dialoghi italiani, a c. di G. Aquilecchia, Firenze, 1985
N. Ordine, La soglia dell'ombra, Venezia, 2003
F.A. Yates, Art of Memory, London 1966
F.A. Yates, Bruno and the Hermetic Tradition, London 1964
M. Fishbane, La morte per bacio.Morte spirituale e morte mistica nella tradizione ebraica, 2002
M. Panetta, "Il mito di Atteone negli Eroci Furori di G. Bruno", (art. disponibile in Rete)
I. Škamperle, "Le dee vergini", (I quaderni del Ramo d'oro on-line, n. 3, anno 2010)