Il grande cacciator divenne preda
Questo blog nasce dal bisogno di condividere l'interesse per la figura e l'opera di Giordano Bruno nolano. In questo nostro tempo – insieme di crisi e di straordinarie aperture – la nova filosofia di Bruno suscita interesse e attrae quanti intravedono in essa un nucleo straordinario di vitalità, una capacità di sintesi e di visione illuminanti, un'ispirazione autenticamente religiosa, dove religio è ciò che lega (lat. re-ligare) l'uomo agli altri uomini e al cosmo infinito vivente.
Questo blog nasce dal bisogno di condividere l'interesse per la figura e l'opera di Giordano Bruno nolano. In questo nostro tempo – insieme di crisi e di straordinarie aperture – la nova filosofia di Bruno suscita interesse e attrae quanti intravedono in essa un nucleo straordinario di vitalità, una capacità di sintesi e di visione illuminanti, un'ispirazione autenticamente religiosa, dove religio è ciò che lega (lat. re-ligare) l'uomo agli altri uomini e al cosmo infinito vivente.
Il
filosofo che ha inteso spezzare le catene del geocentrismo, che ha
combattuto ogni forma di autoritarismo, che ha deriso i pedanti rappresentando la filosofia in forma di commedia e risata
ci insegna a vedere come illusoria ogni separatezza, ogni
contrapposizione nata dalla convinzione di possedere – una volta
per tutte e in modo indubitabile - la verità.
A. Alciato, Emblematum Liber |
Il
vero filosofo è un cacciatore: si spinge nei recessi più oscuri e
umbratili della foresta, in traccia della sua preda. Inseguimento,
milizia, bisogno costante di cacciare oltrepassando sé
stessi. Necessario, in primo luogo, liberarsi dal sonno,
dall'incantamento di Circe che imprigiona la grande parte
dell'umanità. L'uomo crede di essere desto, crede di avere occhi per
vedere, ma la sua anima è in stato di oblio.
Rivolgiamo ora l'attenzione al
mito del cacciatore Atteone. Nel dialogo intitolato De
gli eroici furori, Giordano Bruno richiama e reinterpreta
questo mito attribuendogli una grande centralità e pregnanza di
significato. La figura di Atteone diviene così un simbolo o
“ieroglifico” che condensa in sé una fitta trama di
significati, una visione o immagine mentale che custodisce l'essenza
più profonda di un concetto e di un'esperienza.
Anticipando
ciò che studieremo in relazione all'arte della memoria, diciamo per
inciso che la capacità di creare immagini mentali impressionanti,
connesse a forti sentimenti, capaci di rapire e infiammare
l'attenzione è il presupposto stesso della strabiliante arte
mnemonica che Bruno padroneggiava, suscitando sospetto, stupore,
ammirazione, smarrimento nei suoi interlocutori. In virtù di tale
facoltà immaginativa, ciò che si dice a parole è soltanto un
tentativo di raccontare - in modo approssimativo e per frammenti –
ciò che tale visione racchiude in unità.
Ma se è vero
che l'arte della scrittura interiore non può essere descritta, ma
soltanto appresa nella pratica, cerchiamo ora di svolgere la nostra
parte di artefici, dando forma nella nostra mente alla figura
di Atteone.
L'eroe tebano
Atteone, nipote di Cadmo, addestrato all'uso delle armi dal centauro
Chirone, si trovò a vagare durante una battuta di caccia per un
bosco che non conosceva. Il destino lo condusse nella grotta dove la
dea Diana, stanca di cacciare, faceva il bagno assieme alle ninfe
sue
compagne. La vergine, che orgogliosamente e sdegnosamente si
sottraeva a ogni sguardo, fu contemplata nella sua nudità da
Atteone. Egli posò il suo sguardo sul corpo di Diana – la dea della caccia,
la dea lunare, la Natura stessa nella sua indicibile bellezza.
Arrossendo e adirandosi in volto per l'oltraggio subito, Diana gli
spruzzò dell'acqua in viso, trasformandolo in cervo e impedendogli di riferire ciò che aveva visto. Scappando, Atteone giunse ad una fonte dove, specchiatosi nell’acqua, si accorse del suo nuovo aspetto. Ma i suoi stessi cani ora lo
inseguivano. Fu così che - come dice Bruno - il "gran cacciator dovenne caccia".
Testi consigliati:
Il
valentissimo
cacciatore Atteone fu preda dei suoi cani, che, aizzati
dagli
amici e compagni di caccia, lo sbranarono. Pur
consapevole di quanto stava accadendo, Atteone non fu in grado di
proferire parola umana e di farsi riconoscere.
Fra
le varie versioni del mito trasmesse dalla tradizione, Bruno sembra
riferirsi con ogni probabilità alle Metamorfosi di Ovidio,
cui rinviamo.
Ciò che a noi
interessa evidenziare è la torsione e la trasposizione di
significato che il mito della caccia subisce negli Eroici
Furori (cfr. Parte prima, Quarto dialogo),
opera che Bruno pubblicò a Londra nel 1585.
La venagione, la
caccia, rappresenta quello stato di continua ricerca e di inappagata
tensione cui si consacra l'uomo che – risvegliato a nuova vita
dall'amore ardente per il Sole intelligibile – si pone in traccia
della divina bellezza, verità e sapienza. Questa è la condizione
dell'«eroico furioso»: essere trasfigurato da una divina mania, da
un amore inestinguibile per la luce divina, per quella abbagliante
bellezza che si riflette nella Natura, nella nudità di Diana.
Tale
tensione comporta un processo di interiore trasformazione,
esplicitamente descritto nel Quarto
Dialogo.
Atteone - colui
che
rappresenta in figura
«l'intelletto
intento alla caccia della divina sapienza» -
si
avventura nei luoghi più inaccessibili delle
selve,
dove pochi osano
arrivare. Egli
è preceduto dai propri cani («i
mastini e i veltri slaccia Il giovan Atteon»);
i veltri stanno per le facoltà intellettuali e i più
forti mastini
per la volontà.
E
improvvisamente Atteone scorge un riflesso nell'acqua: è quanto di
più bello mente umana o divina possa contemplare.
È la
nudità di Diana, l'ombra che la sublime divina luce (l'universale
Apollo) proietta nella materia e nel mondo delle cose visibili.
Diana-Luna riflette la luce universale, una luce acciecante
che l'uomo può contemplare solo nei riflessi, nelle ombre, per
speculum et in aenigmate.
Così
Bruno:
Vedde
il gran cacciator; comprese, quanto è possibile e dovenne caccia;
andava per predare e rimase preda questo cacciator [...].
Questa
visione comporta anche la morte iniziatica di Atteone. Egli muore a
sé stesso, alla vita ordinaria, ad ogni sapere illusorio che spinge
a cercare la divinità in luoghi impervie
e irraggiungibili.
Atteone, rapito fuor di sé dall'estatica visione della Diana tutta
nuda, si scopre simile a ciò che più ardentemente brama. Amare e
comprendere significa convertirsi nell'oggetto amato. Atteone muore
scoprendo che i riflessi di divinità, bellezza verità che egli
cercava all'esterno e nei luoghi più occulti, devono essere
ricercati nello specchio della propria interiorità. Il cacciatore si
fa preda; la muta di mastini e veltri si lancia ora
contro
il cacciatore.
Ogni
autentico amore provoca una trasmutazione nell'anima
dell'amante.
Così
si esprime bruno:
Cossí Atteone con que' pensieri, quei cani che cercavano estra di sé il bene, la sapienza, la beltade, la fiera boscareccia, ed in quel modo che giunse alla presenza di quella, rapito fuor di sé da tanta bellezza, dovenne preda, veddesi convertito in quel che cercava; e s'accorse che de gli suoi cani, de gli suoi pensieri egli medesimo venea ad essere la bramata preda, perché già avendola contratta in sé, non era necessario di cercare fuor di sé la divinità.
E
ancora :
Però
ben si dice il regno de Dio esser in noi, e la divinitade abitar in
noi per forza del riformato intelletto e voluntade.
Diana (part.), Reggia di Caserta |
L'occhio
estatico di Atteone può ora scorgere
nuovi sentieri, in
un percorso che lo condurrà con ritrovato
slancio verso la
contemplazione, verso l'Uno che è
in tutto e tutto
lega per vincolo d'amore.
Qui il
cacciatore è
messo a morte dai suoi
cani e «da quel ch'era un uom volgare e commune, dovien raro ed
eroico, ha costumi e concetti rari, e fa estraordinaria vita. […]
qua finisce la sua vita secondo il mondo pazzo, sensuale, cieco e
fantastico, e comincia a vivere intellettualmente; vive vita de dei,
pascesi d'ambrosia e inebriasi di nettare.»
Tale
esperienza di realizzazione piena della nostra umanità è resa
possibile dal venir meno dell'atteggiamento
irreligioso di separazione che contrappone l'individuo a ciò che è
fuori e altro da sé
(provvisto
di occhi per vedere, padrone
di sé, non
più estraneo
all'altro,
il
furioso eroico ha
pensieri soltanto per le cose divine e
vede soltanto
la divina armonia insita in ogni cosa).
Ricordiamo,
infine, che il
percorso del furioso [furor,
in latino, significa:
rabbia,
pazzia,
rivolta,
impeto, desiderio, passione
amorosa,
delirio,
divina
ispirazione,
entusiasmo,
furore
profetico, spirito ardente]
non
è caratterizzato dal venir meno delle contrarietà, delle
difficoltà, dei dubbi, dei pericoli di consumarsi
come una
farfalla attratta dalla
fiamma della candela.
La
ricerca avviene infatti sotto l'insegna di Amore, che è per sua
natura ambiguo, povero
e insieme ricco di espedienti. Tale
condizione esistenziale rassomiglia
al martirio, è
una piaga che mai si rimargina, poiché l'inestinguibile desiderio di
congiungersi al divino mai consegue il suo fine. Ma
questo
slancio,
questa tensione, questa
veemente aspirazione
rendono degna, eroica
e nobile
la vita; sicché il furioso – che i più giudicano infelice –
ringrazia Amore per i tormenti subiti.
Il Furore è un impeto razionale, un amore che supera ogni ostacolo, in tutto simile all'amore della Sulamita del Cantico di Salomone. Tale entusiasmo non porta all'oblio di sé, come invece avviene nella profezia e nell'invasamento poetico. Questa ricerca è realizzazione della propria individuale natura e, insieme, desiderio di elevarsi rendendosi degno della cosa amata.
Il Furore è un impeto razionale, un amore che supera ogni ostacolo, in tutto simile all'amore della Sulamita del Cantico di Salomone. Tale entusiasmo non porta all'oblio di sé, come invece avviene nella profezia e nell'invasamento poetico. Questa ricerca è realizzazione della propria individuale natura e, insieme, desiderio di elevarsi rendendosi degno della cosa amata.
Il
biblico Cantico
di Salomone
– scrive Bruno – è la fonte degli Eroici
Furori
e l'argomento è il medesimo. La stessa ardente passione amorosa è
espressa
nel Cantico
attraverso
la figura
della
Sulamita che
ricerca il suo
amato. Osculetur
me osculo oris sui
(Oh
se Lui mi baciasse con i baci della sua Bocca).
Testi consigliati:
G.
Bruno, Dialoghi italiani, a c. di G. Aquilecchia,
Firenze, 1985
N.
Ordine, La soglia dell'ombra, Venezia, 2003
F.A.
Yates, Art of Memory, London 1966
F.A.
Yates, Bruno and the Hermetic Tradition, London 1964
M.
Fishbane, La morte per bacio.Morte spirituale e morte mistica nella tradizione ebraica,
2002
M. Panetta, "Il mito di Atteone negli Eroci Furori di G. Bruno", (art. disponibile in Rete)
M. Panetta, "Il mito di Atteone negli Eroci Furori di G. Bruno", (art. disponibile in Rete)
I.
Škamperle, "Le dee vergini", (I quaderni del Ramo d'oro on-line, n. 3, anno 2010)